RICONOSCERE LA VIOLENZA

Le diverse forme di violenza

La violenza che si abbatte sulla vita di tante donne ha forme molteplici e non sempre immediatamente distinguibili.

Gli abusi, i soprusi e i meccanismi di controllo posti in essere dalle persone maltrattanti spaziano purtroppo attraverso una lunga serie di comportamenti, spesso sovrapposti, striscianti o subdoli che possono renderne difficile l’identificazione. Spesso le situazioni frustranti e dolorose sono aggravate dai vincoli affettivi che legano vittime e maltrattanti.

Il breve excursus che segue intende fornire spunti di approfondimento sulle categorie più frequenti di violenze cui sono soggette le bambine, le ragazze, le donne.

E’ un cammino difficile, desolante, ma affrontandolo insieme, con consapevolezza, può rivelarsi utile per riconoscere e spezzare una spirale tragica e riportare speranza di una vita libera e serena.

Violenza culturale

Proprio da questa sfaccettatura della violenza si dovrebbe partire per combatterla efficacemente, poiché ogni forma che assume parte da una percezione distorta di disvalori culturali, spesso atavici, che continuano a porre le donne in subalternità rispetto agli uomini. Ogni volta che un atto violento contro una donna, indipendentemente dalla sua natura e gravità, viene considerato lieve o normale si applicano i crismi della violenza culturale. Purtroppo sradicare stereotipi, preconcetti, comportamenti border-line, visioni interiorizzate da secoli è ad oggi compito arduo sebbene indispensabile, da perseguire con tenacia per liberare le donne e la società dalla violenza.

Il dato sicuramente più sconcertante e legato a pregiudizi culturali difficili da sradicare è rappresentato dalla familiarità della vittima con il maltrattante. Spesso infatti la violenza si annida proprio all’interno del contesto che dovrebbe essere sempre vissuto come il più sicuro: la famiglia.

Educare le generazioni al rispetto degli altri per sradicare il fenomeno della violenza significa trasmettere ai giovani valori forti, sani, rispettosi delle diversità e delle peculiarità di ogni essere umano. 

Succede questo oggi in Italia?

Un’indagine del 2015 svolta dall’Istat su 1.600 tra ragazzi e ragazze in età compresa fra i 14 e i 19 anni sembra dare un quadro allarmante della percezione del problema (https://terredeshommes.it/dnload/InDifesaDossier_2015.pdf).

I ragazzi e le ragazze intervistati sembrano essere orientati verso la giustificazione di problemi economici o di dipendenze per le esplosioni di violenze di genere e non di errate concezioni culturali. E’ stato ampiamente dimostrato come purtroppo la violenza si manifesti in modo trasversale rispetto a condizioni economiche e livello di cultura, ma resta radicata nei giovani l’idea che riguardi soprattutto le fasce più povere e meno istruite della popolazione. Un dato allarmante è che molti ragazzi ritengono la violenza all’interno della famiglia un fatto privato, che dovrebbe restare all’interno delle mura domestiche. L’idea che siano le donne a doversi occupare delle mansioni quotidiane resta ancorata ai modelli subculturali espressi. Come resta piuttosto salda la concezione del ruolo guida riservato al padre di famiglia. I dati confortanti riguardano invece la certezza che le donne non dovrebbero sopportare la violenza e che l’educazione scolastica dovrebbe istruire maggiormente gli studenti in merito alla conoscenza sulla violenza di genere e sul rispetto per gli altri.

Violenza psicologica

Ogni parola, gesto, azione che mortifica o manipola una persona può rientrare a buon diritto in quella che viene definita violenza psicologica. Ridicolizzare, offendere, sminuire, criticare, intimidire, minacciare, isolare, ricattare, controllare una persona o manipolarla per piegarne la volontà significa maltrattarla e causarle danni profondi, spesso indelebili.

La vittima di violenza psicologica vive ogni giorno con ansia, angoscia, anche terrore. L’autostima si abbassa fino ad azzerarsi, come l’autonomia o lo spirito di iniziativa. E’ una condizione che porta con sé un tormento costante in chi la subisce e la sensazione spiazzante di mancanza di controllo sulla propria vita.  Controllo perseguito saldamente dal maltrattante, che non esita a porsi come vittima: scaricando le responsabilità sulla vittima reale ottiene uno status che gli consente di manipolarla agendo sui suoi sensi di colpa. 

Si tratta di comportamenti abusanti che vanno riconosciuti, ascoltati e fermati il prima possibile.

Violenza economica

Altra forma non immediatamente riconoscibile ma analogamente dannosa di violenza contro le donne è quella economica. Il controllo finanziario da parte del maltrattante, il divieto di cercare un lavoro, l’isolamento sociale e la dipendenza totale da un’altra persona per le proprie necessità primarie e secondarie lega la vittima al maltrattante in un rapporto di sudditanza, in cui ogni azione deve essere giustificata, in cui per ogni minima spesa si deve chiedere il “permesso” che viene o meno “concesso”. Se anche venisse presa la decisione di lasciare la persona maltrattante, mancherebbero le risorse. Ancora una volta si tratta di una forma di controllo di una persona sull’altra, che neutralizza l’autonomia della persona che la subisce.

Il futuro non solo preoccupa, ma viene percepito come impossibile se non legato costantemente al volere di un’altra persona. Condizione che paralizza la vittima e le impedisce di vivere una vita normale.

Ad oggi non esiste una norma che inquadri e punisca la violenza economica, che viene inserita all’interno delle leggi che si occupano di violenza relazionale e domestica.

Violenza fisica

La violenza fisica comprende ogni azione che abbia come scopo l’assoggettamento aggressivo della vittima. Può colpire il corpo della persona o qualcuno o qualcosa a cui la persona tiene (animali, oggetti cari, automobile, documenti…) fino a minacciarne la vita. Le spinte, i pugni, gli schiaffi, i calci, le mani alla gola, le ferite inferte con oggetti taglienti o contundenti, le minacce sull’uso di armi, il lancio di oggetti sono alcuni dei modi attraverso i quali la persona maltrattante tenta di assoggettare la vittima per dominarla.

Da un punto di vista penale, il Codice individua tre tipologie di reato riguardanti la violenza fisica:  

Reato di percosse (art. 581 c.p.)

Reato dilesione personale (art. 582 c.p.)

Reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.).

Attraverso il decreto legge 93 e la relativa legge sul femminicidio si prevedono interventi volti a garantire adeguata protezione alle vittime di violenza.

Le cose da fare in caso si fosse vittime di violenza fisica sono prima di tutto di recarsi al Pronto Soccorso. Se non fosse possibile autonomamente, occorre chiamare l’ambulanza al 118 o Polizia al 112 e/o Carabinieri al 113. I medici che interverranno dovranno refertare le lesioni accertate e l’accaduto. Se possibile è importante allontanarsi dal luogo dove si è consumato l’evento violento ed affidarsi alle Forze dell’Ordine o ad un Centro Antiviolenza o al 1522, il numero Antiviolenza Donna, dove si potrà ricevere supporto medico, psicologico e legale.

Violenza sessuale

La violenza sessuale comprende ogni azione a sfondo sessuale compiuta contro la volontà o nell’inconsapevolezza della persona verso cui è indirizzata.

Con questa definizione si includono vari tipi di comportamenti quali lo stupro, l’abuso sessuale su minori o persone non consenzienti o il cui stato sia alterato dall’uso volontario ed involontario di sostante alcooliche, psicoalteranti e stupefacenti, ogni atto sessuale indesiderato, le molestie.

Si tratta di un tipo di violenza purtroppo estremamente diffuso in tutti i gruppi sociali e in qualsiasi fascia di età. Non sempre gli atti di violenza assumono connotazioni aggressive, a volte sono più sottili e giocano sull’assoggettamento psicologico della vittima.

Violenza assistita 

La violenza assistita comprende ogni atto di abuso a cui assistono altre persone, siano esse adulte o minori, che siano significative per la vittima.

La violenza assistita sui minori è una forma di violenza domestica che si verifica nel caso in cui il minore sia obbligato ad assistere a ripetuti momenti di violenza fisica e/o verbale tra i genitori.

La violenza assistita irradia i suoi effetti nefasti sui minori a livello emotivo, cognitivo, fisico e relazionale. Questo tipo di abuso può manifestarsi sia in forma diretta che indiretta, ad esempio quando un genitore, scientemente o inconsciamente, informa i figli delle violenze che subisce esponendoli agli esiti drammatici che ne conseguono.

I minori avvertono un forte senso di disagio, impotenza e paura, che si trasforma frequentemente in senso di colpa. Lo sviluppo emotivo e psicologico del minore vittima di violenza assistita può risultare seriamente compromesso. Fino ad arrivare ad innescare in riposta una forma mentale che includa la violenza come mezzo relazionale.

Si tratta di un tipo di violenza piuttosto opaca e non troppo valutata, benchè estremamente lesiva di ogni tipologia di vittima. Ad oggi i reati riconosciuti in merito riguardano esclusivamente i comportamenti diretti che inducono la violenza assistita, pur ponendo attenzione crescente ai casi che si pongono in giurisprudenza di volta in volta.

Dipendenza affettiva

Nella dipendenza affettiva è preponderante la forte dipendenza di un partner nei confronti dell’altro, fino alla rinuncia della propria personalità.

In un rapporto di coppia sano si cresce insieme, ognuno con la sua identità e si cercano dialogo e comprensione per soddisfare le reciproche necessità. Ma non sempre queste condizioni si verificano.

A volte si vivono relazioni disfunzionali in cui uno dei due partner si annulla per paura di perdere l’altro. Spesso legata a traumi infantili dovuti ad atteggiamenti assenti o iperprotettivi dei genitori, la dipendenza emotiva si traduce in una forma di amore ossessiva e statica, senza crescita personale, in cui non vige il dialogo, ma la rinuncia di se stessi e l’attenzione soffocante verso l’altro, data e pretesa.

Si tratta di relazioni infelici che possono raggiungere livelli di patologia pericolosi anche per l’incolumità fisica ed emotiva di chi le vive.

La dipendenza affettiva coinvolge quasi esclusivamente le donne ed è trasversale rispetto all’età.

Il continuo bisogno di conferme, stabilità, certezze da parte di persone fragili, spesso con bassa autostima, può indurre comportamenti manipolatori ma anche sacrificali nei confronti dei partner. Si tratta in ogni caso di squilibri che intossicano la relazione facendosi veicolo di stress, ansia, ossessione, depressione e in casi gravi anche azioni autolesionistiche. Eppure non si chiude la relazione, la sensazione continua che ne scaturisce è di completa destabilizzazione psicologica ed emotiva.

Molestie sul lavoro

Una forma di violenza subdola può verificarsi sul luogo di lavoro. Non sono rari i casi in cui il datore di lavoro o un collega si permettono libertà inaccettabili con le donne. Naturalmente si tratta sempre di comportamenti lesivi la dignità delle persone e vanno combattuti e condannati senza tentennamenti.

Il disagio che si viene a creare in questi contesti non si limita a sensazioni sgradevoli ma diventa ansia, angoscia, vessazione, umiliazione, intimidazione.

La vittima di molestie sul lavoro incontra pesanti disagi psicologici e si trova a fronteggiare il doppio problema della tutela della sua incolumità fisica e psicologica e del posto di lavoro.

Da una prospettiva legale, è importante fare riferimento all’art. 26, comma 2°, del D.Lgs n. 198/2006 che “considera come discriminazioni le molestie sessuali espresse in forma fisica, verbale o non verbale”.

Stalking

Lo stalking è una forma di violenza che può portare la vittima al totale isolamento per cercare di salvaguardarsi. Le attenzioni sempre più pressanti e mai desiderate degli stalker limitano la libertà di una persona e causano livelli invalidanti di ansia e angoscia.

Gli stalker attuano comportamenti accerchianti sempre più invasivi per cercare un contatto personale con la vittima, spesso la donna con cui si è chiusa una relazione.

Le attenzioni che la vittima subisce non sono mai gradite e con il passare dei giorni diventano un incubo da cui sembra difficile uscire per l’imprevedibilità dei comportamenti attuati dal molestatore.

vita quotidiana possono essere devastanti:ansia, stress, paura, insicurezza, isolamento sociale, chiara percezione di violenza subìta e di libertà mutilata. Convivere quotidianamente con la paura di essere aggredite può arrivare a generare pensieri suicidiari o di perenne angoscia per l’ incolumità propria e dei propri cari.

Rivolgersi tempestivamente alle autorità, alle associazioni, ai centri antiviolenza è fondamentale per rompere la spirale distruttiva che rischia di travolgerci.

Riportiamo sotto i numeri da chiamare in caso di emergenza:

112 Carabinieri

113 Polizia di Stato

1522 numero Antiviolenza e Stalking (Telefono Rosa)

Matrimonio forzato

Nel caso dei matrimoni forzati, la violenza risiede naturalmente nella costrizione, di solito da parte delle famiglie, a contrarre matrimonio contro la volontà delle persone designate. 

Le modalità di costrizione spaziano dall’imposizione verbale della volontà familiare alla messa in atto di comportamenti violenti. Restano in ogni caso sempre comportamenti gravemente lesivi delle libertà personali.

Si tratta di una pratica che coinvolge spesso ragazze minorenni, anche bambine, costrette a sposare uomini molto più grandi di loro. Le motivazioni addotte per organizzare un matrimonio forzato sono molteplici, ma tutte virano verso la pretesa ricerca del miglioramento della condizione sociale ed economica delle famiglie delle vittime.

In Italia il matrimonio forzato è perseguito dall’Art. 558-bis c.p. e prevede la reclusione da uno a cinque anni. Sono previste aggravanti se la vittima è minore di anni diciotto e/o di anni quattordici, in particolare in quest’ultimo caso dove la pena prevista è da due a sette anni.

Mutilazioni genitali femminili

La pratica delle mutilazioni genitali femminili rappresenta una violazione estremamente cruenta e traumatizzante dei diritti umani e riguarda purtroppo tantissime donne nel mondo.

Le mutilazioni genitali feriscono profondamente le bambine, le ragazze e le donne che le subiscono sia da un punto di vista fisico che psicologico ed emotivo. Questa pratica, accettata in contesti etnici di differenti matrici culturali, è volta al mantenimento violento del controllo sulla sfera femminile della società. Le donne vengono private fin da bambine dell’autonomia di gestione del loro corpo in modo scioccante e violento.

Da un punto di vista fisico queste mutilazioni comportano pericoli gravi ed irreversibili per la salute: infezioni, dolore cronico, infertilità, setticemia, morte. Da un punto di vista psicologico causa forte ansia, depressione, bassa autostima, sudditanza nei confronti di un intero tessuto sociale vissuto come soverchiante e dominatore. Stiamo parlando di circa 150 milioni di donne nel mondo.

La legge 9 gennaio 2006, n. 7, tutela la donna dalle pratiche di mutilazione genitale femminile, in attuazione degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione e di quanto sancito dalla Dichiarazione e dal Programma di azione adottati a Pechino il 15 settembre 1995 nella quarta Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne.

Tratta di donne

 Questa forma di violenza contro le donne riguarda soprattutto le migranti. Si tratta di donne sole, vittime di violenze fisiche e psicologiche, fragili e sprovviste di reti parentali o sociali che possano aiutarle, o che, peggio, fuggono da contesti familiari violenti. Per queste persone emigrare non significa sperare, significa non affrancarsi mai dalla disperazione, passando da un “padrone” all’altro. Loro sono merce per guadagnare. Non hanno voce né diritti. Assoggettate continuamente a persone violente, provate da traumi e private della libertà, queste donne ferite nell’anima spesso non riescono ad uscire da una condizione di prostrazione, non conoscono l’autonomia o l’autostima. Non sanno dove andare e di chi fidarsi.

Troppo spesso la vita spezzata di queste donne finisce ai bordi di una strada, i femicidi sono molto più frequenti in contesti tanto complessi e retti da logiche sessiste ed aberranti.

Per questo i centri antiviolenza si attivano con percorsi ed obiettivi personalizzati in base alle esigenze espresse da ogni donna vittima di tratta e sfruttamento.

Femminicidio

Il femminicidio comprende tutte le azioni lesive nei confronti di una donna che portano poi alla sua uccisione in quanto donna. Si tratta di un omicidio di genere.

Contrariamente a quanto si tende a credere, i femminicidi raramente avvengono per moti d’impeto improvvisi o raptus, sono invece spesso la convergenza estrema ed irreparabile di

un’escalation di violenza a cui la donna viene sottoposta in ambito familiare o relazionale. Gli stereotipi e gli strati subculturali legati ai ruoli di genere e alle costanti difficoltà di accettazione di un progressivo affrancamento della dimensione femminile nei confronti del lavoro, della famiglia, della religione, della comunità, comportano una chiara responsabilità sociale nel persistere di una mentalità patriarcale, che individua nell’emancipazione femminile un sovvertimento dei ruoli definiti da punire fino alle conseguenze estreme.

La donna viene allora vissuta come soggetto-oggetto violabile e uccidibile, in nome di un delirante senso di supremazia.

Minimizzazione o negazione della violenza

I complessi meccanismi emotivi che regolano lo svolgersi di azioni violente comprendono anche una fase successiva, dove l’abusante nega che siano avvenute o le minimizza, declassandole e riducendo la portata dei danni o caricando la vittima di responsabilità, come se fossero stati i comportamenti sbagliati di quest’ultima ad innescare le dinamiche violente.

Ancora una volta la mania di controllo e le distorsioni psicologiche del maltrattante si impongono sulla vittima, causandole ulteriore dolore. Le domande e i dubbi che vengono insinuati nella mente già provata di chi subisce violenza sono laceranti e conducono ad uno stato di prostrazione sempre più accentuato, fino a conseguenze che possono rivelarsi fatali.

L’incertezza del presente, del futuro, della situazione relazionale, familiare, genitoriale, le angosce sull’incolumità propria o del maltrattante, i dubbi sulla propria condotta, la solitudine e le remore ad aprirsi agli altri aumentano l’angoscia in una spirale che non dà tregua e che si rivela sempre più distruttiva, spesso annientante.

Il ciclo della violenza

Informare correttamente ogni persona sulle dinamiche più frequenti che assumono i comportamenti e gli atti violenti è fondamentale per educare, prevenire e rispondere efficacemente nel processo di eradicazione del fenomeno che deve vedere impegnata la società nella sua totalità.

Come ogni manifestazione legata a disfunzioni psicologiche ed emotive, la messa in atto di comportamenti violenti segue un ciclo più o meno lungo che raramente assume le caratteristiche di puro raptus senza campanelli d’allarme che lo precedano.

La letteratura distingue tre fasi differenti di quello che viene definito come “ciclo della violenza”.

Vediamole:

Crescita della tensione

nel caso che ci interessa, quello di un uomo in cui si stia attivando una fase violenta nei confronti di una donna, i primi segnali da non sottovalutare sono la crescita della rabbia. Irritabilità immotivata, scontrosità, aggressione verbale sono campanelli d’allarme dell’inizio di un’escalation che porta spesso alle fasi successive. La vittima prova angoscia, paura, si rende conto che si sta preparando una fase violenta e cerca di placare la collera montante sottomettendosi al maltrattante nella speranza di rompere la spirale che va delineandosi. Il maltrattante però non reagisce come sperato e continua a manifestare aggressività e silenzi minacciosi nei confronti della vittima

Fase di maltrattamento

è la fase in cui deflagra la violenza e che vede la persona maltrattante addurre pretesti inesistenti, minimi, inaccettabili. Il timore di perdere il controllo sulla partner induce il compagno a “punirla”. La violenza smetterà quando la percezione aberrante di chi la infligge registrerà un riacquisito controllo totale sulla vittima

Fase di pentimento

in questo stadio il maltrattante si mostra pentito, si sente in colpa, chiede scusa e diventa premuroso. Pur di non essere lasciato promette che non si ripeteranno più episodi simili. E’ una fase insidiosa perché rende complicata la separazione dall’uomo di cui si pensa di essere innamorate. Così il ciclo si ripete. Non è mai una relazione alla pari, è un rapporto dove una concede e l’altro prende, sempre.